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Umorismo di sostegno

PUBBLICAZIONE UMORISTICA FONDATA DALL'ACCADEMIA DEI CINQUE CEREALI IL 2 GIUGNO 2016

ANNO IX d.F. - IDEATO, SCRITTO, IMPAGINATO, POSTATO E LETTO DAGLI AUTORI E DA SEMPRE DEDICATO A FRANCO CANNAVÒ

Fondatore e macchinista: Paolo Marchiori.
Vicedirettori postali (addetti ai post): Stefania Marello, Christina Fasso, Italo Lovrecich, GioZ, il Pensologo Livio Cepollina.

In questa sezione sono riportati articoli scritti tra il 2012 e il 2014, quando l'ACC collaborava allegramente con LA TAMPA

LA DOLOROSA ISTORIA DE LO GRANO SARACENO E DE LA SANTA BEATA FAVA

Da qualche giorno non si parla d’altro: la faccenda del grano saraceno e della infelice gaffe che il Movimento Cinque Stelle ha commesso, citandolo come un prodotto non italiano, ha avuto una eco tanto duratura quanto immeritata. Se ne parla più che della visita del Papa in Israele, che pure ci aveva dato già un bel tormentone, a reti unificate e senza intervalli.


L’ultimo tentativo dei grillini per salvarsi dallo sfottimento senza fine è stato quello di segnalarci che lo stesso errore era già stato commesso da altri, e precisamente dagli onorevoli Giovanni Fava della Lega Nord e Luca Sani del PD, in una relazione del 2011 sempre in tema agroalimentare. “Anche loro, anche loro!” gridano adesso, felici a metà, poiché mal comune è mezzo gaudio.


Così, invece di attenuarsi e scemare, la bagarre continua, e i nostri nervi rischiano di saltare.


Noi, che fino a ieri pensavamo che il grano saraceno fossero i soldi, il denaro rubato dai quaranta ladroni e ritrovato da Alì Babà nella famosa fiaba, siamo costretti a uscire dalla beata ignoranza collettiva, e capire di quale prodotto si tratti e da dove venga, per poter ridere (e indignarci!) della imperdonabile topica.


Sarebbe dunque un cereale? Come i corn flakes che mangiamo a colazione? E non viene dalla Saracenia, ma dal Trentino? Serve forse per fare il pane arabo? Ma no, per la polenta taragna!


Pare che l’interesse per questo prodotto sia aumentata improvvisamente: tutti lo vogliono, e le vendite di farina di grano saraceno sono schizzate alle stelle; anzi, alle

cinque stelle. Le massaie si scambiano ricette delle quali nessuno aveva mai sentito parlare prima.


In realtà, né la cazzata dei grillini né quella antecedente di Sani e Fava dimostrano una beata fava, in merito alla competenza di questo o di quel partito, ma mi hanno fatto venire in mente un’altra dolorosa storia, che ora racconterò.


Tanti, tanti anni fa, nelle campagne intorno alla città di Foggia, era molto sentito il culto di Santa Fava da Cerignola: Beata, Vergine e Martire.


Tale Santa veniva invocata dai poverissimi contadini pugliesi, quando, dopo una dura giornata di lavoro, trascorsa a raccoglier fave nel campo del padrone ricco e cattivo, ne nascondevano qualcuna nella tasca dei pantaloni (le donne nel corpetto, tra i prosperosi seni) per poter portare in tavola, all’ora di cena, almeno una zuppa di fave, e sfamare così la numerosa famiglia.


Ad ogni fava trafugata essi invocavano la Santa con queste parole: “Santa Fava, sarà cena questa fava!”.


Da lì nacque il culto di Santa Fava Saracena. Nel campo assolato, tra i filari di piante di fava, si udiva mormorare continuamente questa preghiera, che si confondeva con il soffio del vento ed il frinire instancabile delle cicale.


Il padrone e i suoi sgherri credevano si trattasse di canti popolari di contadini ignoranti e superstiziosi, finché un brutto giorno un giovane di nome Peppino, che forse aveva preso troppo sole sen- za copricapo, cominciò a sbraitare dicendo: “Basta! Vaffanbagno il padrone (o qualcosa di questo tenore), questa è una guerra, mandiamoli tutti a casa! Vinciamo noi!”. Gli sgherri sentirono, si spaventarono, e intensificarono la sorveglianza.


Da quel giorno, all’uscita dal campo, i lavoranti - non essendo ancora stato inventato lo scan biometrico e il fava-detector - venivano sottoposti a ispezioni “manuali”, non dico in quale sito, per escludere appropriazioni indebite di raccolto.


Il culto di Santa Fava Saracena sopravvisse a lungo, nel corso dei secoli, e ne nacque persino una setta religiosa, i Favisti. Il favismo fu un’eresia difficile da estirpare, quasi peggio di una malattia.


Nulla a che vedere però con il Fauvismo, corrente pittorica francese, fondata da un manipolo di imbrattatele che dipingeva sempre l’uva (da cui il nome) e beveva tanto vino. Attualmente il fauvismo vanta ancora numerosi seguaci nel Basso Canavese: sostenitori che ormai non perdono neanche più il tempo a considerare tele, colori e pennelli.

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Maria Stefanello (GIUGNO 2014)

Sun li Pirati Saracini, che dallo mare vengono ogni anno a manobassa facere!

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AMRICORD: questo articolo è stato scritto tra il 2012 e il 2014, quando l'ACC (Accademia dei Cinque Cereali) collaborava allegramente con LA TAMPA

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