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Umorismo di sostegno

PUBBLICAZIONE UMORISTICA FONDATA DALL'ACCADEMIA DEI CINQUE CEREALI IL 2 GIUGNO 2016

ANNO IX d.F. - IDEATO, SCRITTO, IMPAGINATO, POSTATO E LETTO DAGLI AUTORI E DA SEMPRE DEDICATO A FRANCO CANNAVÒ

Fondatore e macchinista: Paolo Marchiori.
Vicedirettori postali (addetti ai post): Stefania Marello, Christina Fasso, Italo Lovrecich, GioZ, il Pensologo Livio Cepollina.

C'ERA UNA VOLTA IL CALDO


Quand'ero bambina non si andava in vacanza al mare, e nemmeno in montagna: l'estate si trascorreva in città, come le altre stagioni. Eppure, da luglio a settembre, le giornate dei bambini erano luminose e felici: si poteva giocare all'aperto, liberi da indumenti opprimenti, e soprattutto non si doveva andare a scuola.


Per le bande chiassose che si riunivano nei cortili e nelle strade di periferia il caldo non era certo un problema. Ci si muoveva in continuazione sotto il sole, si andava in bicicletta fino allo sfinimento, si giocava a palla, a nascondino, a guardie e ladri, e si rientrava a casa sporchi, con gli abiti inzuppati di sudore.


Solo gli adulti si lamentavano talvolta del caldo, ma in modo meno melodrammatico di oggi. Faceva caldo com'era normale che facesse, data la stagione: nessuno sapeva dell'anticiclone africano, né del riscaldamento globale; a malapena si sapeva dove fosse l'Africa.


Ricordo mia mamma che stirava la mattina presto, quando, con opportune correnti d'aria, entrava in casa un refolo più fresco. Di tanto in tanto doveva asciugarsi la fronte con il fazzoletto, o concedersi qualche minuto su una sedia, facendosi aria con un vecchio ventaglio dai colori sgargianti. Quando entravo in cucina per fare colazione la trovavo così, in sottoveste, immersa nel profumo della biancheria pulita e ben ripiegata.


Nel tardo pomeriggio rientrava papà, in bicicletta, con una vecchia cartella a tracolla, contenente la bottiglietta e il baracchino del pranzo. Aveva attraversato la città, quindi era accaldato per la lunga pedalata e stanco per la giornata di lavoro. Come prima cosa si toglieva gli abiti e andava a lavarsi. Poi si infilava dei vecchi pantaloni corti. Lo ricordo così, magro, le gambe pelose, la canottiera lisa, l'odore misto di saponetta e olio motore.


Prendeva dal frigorifero la bottiglia d'acqua di rubinetto, resa frizzante dalle polverine, e ne versava un paio di bicchieri. Mi piaceva bere con lui e fare cincin con i bicchieri colmi d'acqua. Non c'era bisogno che la tv ci insegnasse che, con il caldo, bisogna bere di più.


Si cenava, poi c'erano le solite liti tra noi sorelle su chi dovesse sparecchiare, lavare e asciugare i piatti. Quasi un rito anche questo, poiché le cose da fare erano tre e noi eravamo due, e tre non è divisibile per due.


Con il buio ci sedevamo tutti sul balcone, a "prendere il fresco" e guardar passare i treni. Qualche sera faceva davvero caldo, il fresco non arrivava e mio papà diceva: "Ancheuj a pica", cioè oggi picchia, sottinteso il caldo. Nessun'altra lagna o commento. Ci sembrava normale che in estate facesse caldo.


A volte, ci si concedeva un piccolo lusso: la granita casalinga. Quel ghiaccio, tritato sul tagliere con un batticarne, con l'aggiunta di un cucchiaio di sciroppo alla menta di un bel verde smeraldo, nel bicchiere che andava lentamente appannandosi, era una gioia per gli occhi, prima che per la gola.


Poi si andava a letto, a sudare fino alle prime ore del giorno. Non c'era un ventilatore in casa, troppo costosi. Figuriamoci i moderni condizionatori.

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Stefania Marello


Nuvola di una volta


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Compagne di giochi

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