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Umorismo di sostegno

PUBBLICAZIONE UMORISTICA FONDATA DALL'ACCADEMIA DEI CINQUE CEREALI IL 2 GIUGNO 2016

ANNO IX d.F. - IDEATO, SCRITTO, IMPAGINATO, POSTATO E LETTO DAGLI AUTORI E DA SEMPRE DEDICATO A FRANCO CANNAVÒ

Fondatore e macchinista: Paolo Marchiori.
Vicedirettori postali (addetti ai post): Stefania Marello, Christina Fasso, Italo Lovrecich, GioZ, il Pensologo Livio Cepollina.

LE STORYCETTE DELLA NONNA - LA PINSA ROMANA


La pinsa è un piatto romano di antiche origini, ma che solo recentemente è stato proposto nei ristoranti e nelle pizzerie, dal panettiere e dal pizzicagnolo (che ora si fa chiamare "pinsicagnolo") e nelle mense aziendali.


Si tratta di una focaccia preparata con una miscela di farine integrali e condita con vari ingredienti. In pratica è simile alla pizza, ma se ne differenzia essenzialmente per la forma. Le pizze infatti possono essere rotonde, quadrate, rettangolari; esistono anche i triangolini di pizza, e qualcuno, dopo aver bevuto un ettolitro di birra, sostiene di aver mangiato nientemeno che pizze rombiche. L'unica forma rimasta inutilizzata era quella ovale, e la pinsa se ne è appropriata.


La ricetta della Pinsa Romana si è diffusa in tutta Italia. Un po' meno in Piemonte, dove la parola "pinsa" in lingua locale significa pinza, tenaglia o anche molletta da bucato, cose decisamente poco adatte ad essere portate in tavola.


Il nome, seppure simile a pizza, ha un'etimologia diversa: pinsa deriva dal verbo latino pìnsere o pinsàre, che significa battere, pigiare, ma anche allungare. Infatti, la pinsa è una sorta di schiacciata, stiracchiata in lunghezza.


Si dice che il latino sia una lingua morta, ma a giudicare dalla quantità di parole europee che ne derivano si potrebbe dire che essa sia una lingua non-morta, una specie di lingua zombie.


Ma torniamo alla pinsa: c'è chi sostiene che sia antichissima, citata già nell'Eneide. Infatti, in epoca preromana nel Lazio si consumava abitualmente una schiacciata di farine povere, asciutta come la segatura e dura come legno. Nel poema di Virgilio si parla di una “gran forma di focaccia”, non rotonda ma allungata, servita ad Enea come primo pasto dopo il lungo viaggio che dalla città di Troia in fiamme lo condusse nell'Italia Centrale. Possiamo solo immaginare come il padre di Enea, Anchise, presumibilmente senza denti dal momento che era molto vecchio e che non esistevano ancora le dentiere, abbia gradito la delicata ricetta, e quali maledizioni in greco antico abbia lanciato al figlio di Troia che lo aveva portato in quei lidi.


Secondo gli storici, queste schiacciate, fatte con farro e altri cereali non raffinati, erano così dure e secche da risultare immangiabili. Così, ebbero l'idea (una bella pinsata) di utilizzarle come piatto. Se la pietanza era abbastanza sugosa intrideva la focaccia, tanto che alla fine anche questa poteva essere mangiata senza mettere a rischio i denti. Questa focaccia-piatto era detta mensa. Ed ecco chiarita la profezia dell'arpia Celeno, citata anch'essa nell'Eneide, che profetizzò ad Enea che avrebbe avuto così fame "da mangiare anche le mense". Di lì il modo di dire tramandato fino ai giorni nostri: "ho così fame che mangerei anche il piatto".


Anche la mola salsa era una ricetta simile: un piattone di farro non lievitato, impastato con acqua e sale. Una vera... prelibatezza. Infatti i romani, che non erano fessi, la offrivano in sacrificio agli dei, e il suo nome è la base del verbo 'immolare'. La pinsa moderna è stata lanciata (solo metaforicamente, per fortuna, data la sua consistenza legnosa) nei primi anni di questo secolo dall’imprenditore Corrado Di Marco. La ricetta concede molta libertà nella scelta delle farine, purché integrali e ovviamente biologiche: frumento, soia, riso, nella versione originale, ma oggi anche farina di ceci, di cicerchia e presto quella di larve tostate. L'impasto deve essere lievitato a lungo, esclusivamente con lievito madre. Quest'ultimo è sempre più difficile da reperire, si consiglia di chiedere specificatamente "lievito genitore uno bio".


Per i condimenti ci si può sbizzarrire, nel vero senso della parola: dal classico pomodoro e mozzarella, al ricercato avocado e stracciatella, all'esotico funghetti in camporella.


Accanto alle pinse classiche ci sono le pinse speciali:


Pinsa Pansa, così ben lievitata da formare una grossa pancia in superficie.

Pinsa Va Pinsiero, condita con ali dorate di pollo.

Pinso ergo sum, con scaglie di fosforo, fritto di cervella e petali di violetta del pensiero.


Si raccomanda di non esagerare con le bevande gasate e con la birra: i sommelier raccomandano di accompagnarla con un vinello invecchiato o tutt'al più con una buona citrosodina.


In alcune panetterie espongono anche piccole pinse, dette "pinsette rompi-digiuno". Il problema è che non si sa da quanti giorni sono esposte, e c'è il rischio che a rompersi sia proprio il digiuno, cioè il primo tratto dell'intestino.


La pinsa si può preparare anche in casa, con condimenti fatti fuori, e se c'è l'appetito sarà fatta fuori in pochi minuti e digerita in meno di ventiquattro ore.


Attenzione: non si confonda la Pinsa Romana con la Pinza Bolognese, né con la Pinza Friulana, che sono dei dolci farciti e dotati di Z.

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Nonna Abeffarda

Pinsa Romana


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PinZa Friulana

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Pinse piemontesi


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Pinsa al pinsimonio

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