Umorismo di sostegno
PUBBLICAZIONE UMORISTICA FONDATA DALL'ACCADEMIA DEI CINQUE CEREALI IL 2 GIUGNO 2016
ANNO IX d.F. - IDEATO, SCRITTO, IMPAGINATO, POSTATO E LETTO DAGLI AUTORI E DA SEMPRE DEDICATO A FRANCO CANNAVÒ
Fondatore e macchinista: Paolo Marchiori.
Vicedirettori postali (addetti ai post): Stefania Marello, Christina Fasso, Italo Lovrecich, GioZ, il Pensologo Livio Cepollina.
NONNA RAI
La televisione italiana festeggia i suoi primi settant’anni. Mamma Rai è diventata nonna, ma quelli che hanno all’incirca la sua età se la ricordano bambina.
Il mio rapporto con la televisione iniziò ben prima di possedere un televisore. Iniziò con la radio, una prodigiosa radio dotata di modulazione di frequenza, che rendeva possibile sintonizzarsi anche con il canale TV. Appollaiate su uno scranno in cucina, mia sorella ed io ascoltavamo l’audio della TV dei Ragazzi: le avventure di Lassie, Rintintin, Braccobaldo, Topo Gigio. Non era come vederli, ma avevamo quella capacità di adattamento che alle generazioni successive è venuta a mancare: con l’aiuto della fantasia, e di un udito attento per non perdere né una parola né un rumore, riuscivamo a dare una rappresentazione visiva alle parole.
I primi televisori, ovviamente in bianco e nero, erano ingombranti e costosi. Non tutte le famiglie se li potevano permettere.
I vicini del piano di sopra l’avevano, e ci invitavano a vedere Canzonissima, il Festival di Sanremo e qualche sceneggiato a puntate. Di canzonette e balletti non mi importava niente (esattamente come adesso). Ero poco interessata anche alle vicende complicate di certi sceneggiati deprimenti: dopo i titoli di testa mi addormentavo regolarmente sul divano degli ospiti. Alla fine delle trasmissioni e delle chiacchiere io continuavo beatamente a dormire, e papà mi riportava a casa in braccio. Mia sorella, che era più grande e riusciva a guardare, sveglia, anche i programmi più soporiferi, ci seguiva per le scale con in mano le mie scarpe.
Dopo qualche anno di sfruttamento del divano e del televisore dei vicini, lo acquistammo finalmente anche noi. Fu un evento epocale, che si meritò un brindisi in famiglia con la gazzosa.
Un mondo nuovo si spalancò ai nostri occhi: l’America leggendaria entrava in casa grazie ai documentari, ai film e ai “cartoon”. Talvolta appariva Walt Disney in persona a presentare le sue meravigliose storie animate.
Trasmissioni a premi come “Lascia o raddoppia” e “Il rischiatutto” ci tenevano incollati davanti allo schermo, scommettendo su questo o quel concorrente, e nel frattempo imparavamo qualche nozione di cultura generale. E nonostante sapessimo già da un pezzo leggere e scrivere, a volte si indugiava su “Non è mai troppo tardi”, affascinati dalla scrittura elegante e dall’abilità nel disegno del mitico Maestro Manzi.
Gli spot pubblicitari del famoso “Carosello” stimolavano curiosità e desideri per ogni nuovo prodotto.
La TV mi faceva sognare, ma a volte mi angosciava, con i suoi servizi sulla guerra fredda, sui disastri naturali, sui rischi della prossima bomba atomica. Imparammo il significato di “congiuntura economica”, e ascoltammo le promesse menzognere dei politici, guardandoli finalmente in faccia durante i dibattiti di “Tribuna Politica”.
Con le sue frequenti interruzioni Nonna Rai ci insegnava anche la pazienza e il controllo della rabbia. Non esisteva ancora l’antenna centralizzata né tantomeno satellitare. Quei televisori preistorici erano dotati di una specie di minuscola antenna, detta “baffo”, che avrebbe dovuto catturare il segnale: perciò veniva spostata, ruotata, inclinata e nervosamente maltrattata ogni volta che l’immagine si faceva zigzagante o puntinata o, peggio, nera. Ma non sempre funzionava.
Qualche volta il programma si interrompeva improvvisamente, e appariva il messaggio “Le trasmissioni riprenderanno il più presto possibile”. Era frustrante, nonostante l’accompagnamento musicale e le immagini di greggi al pascolo in luoghi idilliaci. “Ancora le pecore!” tuonava incollerito papà quando queste scene bucoliche interrompevano per la terza volta il suo programma preferito. A quel punto non restava altro da fare che andare tutti a letto, mugugnando per l’ingiustizia, le colpe della Rai e l’ostilità del mondo intero.
Ma in alternativa, restava la lettura di un libro: un piacere senza tempo che nemmeno la TV è riuscita a farci dimenticare.
PRESEPE GATE, INDAGATO SAN GIUSEPPE
Scoperta sensazionale: i re Magi erano dodici, gli apostoli soltanto tre.
Sono passati più di duemila anni, ma si prospetta un serio problema legale per la Sacra Famiglia.
Dalle indagini della procura di Betlemme, sembrerebbe che, il 6 gennaio, a far visita al bambinello fossero giunti addirittura una dozzina di re Magi per omaggiare con doni di ogni genere il nascituro, ma Giuseppe ne avrebbe dichiarati soltanto tre per distrarre oggetti di valore ed evitare le tasse sulle donazioni.
Secondo gli inquirenti Giuseppe avrebbe provveduto al pagamento di IVA e dazio soltanto per oro, incenso e mirra, omettendo gli omaggi di altri nove re sopraggiunti alla capanna.
Comparando le foto di svariati presepi con la tecnica del riconoscimento facciale, è emerso infatti che a Betlemme, la notte dell’epifania, ci sarebbero stati diversi altri Magi a omaggiare il figlio di Dio.
Pare infatti che siano stati portati, da altri nove re, anche: argento, Chanel n° 0, origano, tè, lavanda, tabacco, sale rosa dell’Himalaya, Noce moscata e peperoncino di Soverato.
Le analisi scientifiche dei RIS di Nazareth avrebbero rilevato tracce di questi ultimi prodotti nella mangiatoia posta sotto sequestro preventivo. Verosimilmente Giuseppe avrebbe nascosto nel materasso di Gesù tali doni dichiarando solo i tre indicati nelle sacre scritture contabili.
Un magistrato zelante, che sin dai tempi del catechismo si domandava cosa fosse la mirra, ha sentito “puzza di bruciato”, come si dice in gergo, e ha deciso di indagare a fondo su questo insolito regalo per un neonato (come se fosse normale regalare tabacco, sale rosa, ecc.).
Siccome in quei tempi, nel settore del diritto amministrativo e penale non era ancora in vigore la prescrizione, Giuseppe sarebbe tutt’ora perseguibile a norma di legge e rischia una pesante ammenda oltre a un lungo periodo di detenzione.
Pare che sia arrivato un avviso di Garanzia anche a Maria Vergine, che tuttavia sembrerebbe estranea ai fatti contestati al marito.
Non potendone rispondere San Giuseppe di persona, la magistratura avrebbe il diritto di rivalersi sui legittimi eredi.
Lo stesso magistrato, estendendo l’indagine a tutta la famiglia, avrebbe inoltre scoperto che intorno all’anno 33 d.C. (cioè dopo se stesso), Gesù Cristo millantasse molti più seguaci di quelli che in realtà aveva, tipica prassi utilizzata ancora oggi dagli influencer moderni. Pare che gli apostoli fossero soltanto tre, ma che abbia astutamente gonfiato i numeri per motivi di marketing. Secondo l’avvocato del diavolo, difensore d’ufficio nominato dalla Procura di Gerusalemme, quest’ultimo capo di imputazione non costituirebbe reato.
SI FINGE TRUFFATORE PER LEGGERE IL CONTATORE
Ha bussato alla porta dei coniugi Igino e Marisa di Burlate sul Serio fingendosi un comune truffatore.
Dapprima ha chiesto loro di visionare i contanti delle pensioni ritirate il giorno prima presso il locale ufficio postale, allo scopo di verificare l’autenticità del contante.
Igino e Marisa, pensando di essere caduti nel classico tentativo di truffa, non hanno esitato a consegnare i soldi al presunto malfattore.
Dopo aver visionato meticolosamente tutte le banconote, prendendo tempo, ha chiesto di poter controllare anche i gioielli e ogni altro oggetto in oro allo scopo di verificare che non emettessero radiazioni nocive alla salute. Anche in questo caso il contatore Geiger che mostrava appariva alla loro vista come un normalissimo orologio da polso, insospettendo ulteriormente i due coniugi, ma hanno acconsentito, sempre pensando alla solita truffa. Dopo aver recuperato i preziosi dal loro nascondiglio segreto li hanno messi a disposizione dell’ambiguo incaricato.
Quando il truffaldino individuo ha lasciato la loro casa, i due, hanno ricontrollato soldi e monili, accertando che nulla era stato trafugato.
Solo a quel punto hanno notato che la portafinestra che dà sul balcone era socchiusa e con enorme sconcerto hanno realizzato che proprio sul terrazzino è posizionato il contatore del gas.
Dopo un attimo di smarrimento, Igino e Marisa, hanno intuito che dietro le mentite spoglie di un onesto truffatore, si nascondeva un pericoloso e subdolo addetto alla lettura dei contatori del gas.
Probabilmente il letturista aveva approfittato di una loro distrazione, mentre erano intenti a recuperare i preziosi, per leggere a tradimento l’entità dei loro consumi e trasmetterli all’azienda del gas.
I due coniugi sono usciti di corsa per tentare di fermare l’incaricato della lettura, poiché nessuno era mai riuscito a leggere il loro contatore sin dal lontano 1964, ma ormai era troppo tardi. A ridosso di una siepe in giardino hanno ritrovato il giubbetto che indossava l’uomo datosi alla fuga. A loro non resta che attendere la salatissima bolletta che metterà a dura prova le loro finanze e intaccherà in maniera irreversibile i risparmi di una vita.
XMAS – L’INCOGNITA POLITICAMENTE SCORRETTA
Da qualche tempo, al posto del classico augurio anglosassone, ma ormai internazionale, Merry Christmas, ci si imbatte in una strana formula: Merry Xmas.
La domanda sorge spontanea: si tratta di una abbreviazione da usare su WhatsApp, come “Xché”, “3mendo”, “tvb”? O forse è una specie di rebus? Un esercizio crittografico da Settimana Enigmistica? Un’equazione matematica di primo grado?
Mi dicono sia una abbreviazione, ma non appartenente al mondo digitale. Risale all’antica scrittura greca, dove χ era la prima lettera della parola greca Χριστος, ovvero Christos, e nel Nuovo Testamento fu usata la lettera X come monogramma per abbreviare il nome Cristo.
Quindi, se X = Cristo (in inglese Christ), sostituito nell’augurio originale dà come risultato Merry Xmas.
Complimenti, ne sentivamo la necessità. Attingere al greco antico, per risparmiare quattro lettere su una formula augurale è un vero colpo di genio, grazie al quale si possono fare bigliettini natalizi più piccoli, usando meno carta in nome del risparmio energetico. Per non parlare del risparmio di tempo: se a leggere Merry Xmas si impiegano circa otto decimi di secondo, per l’augurio esteso si impiega un intero secondo. Ben due decimi di secondo risparmiati ad ogni augurio: tempo da utilizzare per fare altre cose.
Ma al di là di queste piccole ironie, la nuova scritta augurale sembrava ormai accettata e utilizzata senza problemi.
Sembrava, ma poi…
Come ben sappiamo, in Italia qualunque banalità viene sfruttata per polemiche politiche, infinite e senza senso.
E quando a Gavardo, in provincia di Brescia, qualcuno ha pensato di scrivere la formula Xmas in una vistosa luminaria natalizia in centro città, qualcun altro vi ha intravisto l’apologia della “Decima Mas”, ovvero la nota (si fa per dire, poiché prima dello scoppio della polemica quasi nessuno la conosceva) Divisione di Fanteria della Marina della Repubblica Sociale Italiana, attiva dal 1943 al 1945. E qualche naso sinistro più sensibile della media vi ha ravvisato odore di fascismo.
Il caso si è ingigantito al punto che il Sindaco di Gavardo ha dovuto pubblicare una nota sui social per chiarire la vicenda, spiegando che «Xmas» è soltanto un’abbreviazione dell’inglese «Christmas».
Ma la giustificazione non è stata sufficiente a placare le polemiche. Del resto, quando in politica si presentano ghiotte occasioni come questa per sviare l’attenzione da argomenti più rognosi (leggi manovra finanziaria, crisi dell’industria, problemi della sanità pubblica) vengono colte al volo e rimestate il più a lungo possibile.
Ma alla fine chiediamoci perché in Italia dobbiamo fare gli auguri di buon Natale in inglese. Avrebbe più senso in aramaico, la lingua parlata in Palestina al tempo della nascita di Gesù. Ma visto che l’aramaico non è molto conosciuto, forse il classico “Buon Natale” è ancora la scelta migliore. Se non ci piace la tradizione evitiamo di scambiarci gli auguri: non è un obbligo di legge come pagare le tasse. Se invece ci fa piacere, facciamoli come tradizione comanda.
Ognuno ha diritto di sfilarsi dal gregge del presepe e festeggiare (o ignorare) il Natale, come gli aggrada. Ma Cristo non è un’incognita: secondo gli storici, sembra sia esistito davvero.
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Stefania Marello - ACC
CHI CI HA CREATO?
Questa domanda mi permette di introdurre il tema di oggi: il catechismo.
Tanto tempo fa, quando i nonni di oggi erano ancora dei bambini, a sette anni si andava in chiesa a lezione di catechismo. Ci andavamo tutti: non ricordo di compagni esonerati perché testimoni di Geova, musulmani, buddisti, ebrei, né tantomeno atei (nemici di Dio che non si potevano neppure nominare, se non facendosi il segno della croce). Anche se oggi sembra strano, nel periodo tra la fine della guerra e gli anni settanta noi italiani, dal Nord al Sud, eravamo tutti cattolici. Le lezioni di catechismo erano tenute dai preti, e affrontavano alcune questioni fondamentali sulla natura di Dio e sui nostri doveri verso di lui. Dovevamo imparare a memoria le risposte a precise domande, anche se non ne capivamo il senso. Alla fine dei corsi, per poter fare la Prima Comunione, si sosteneva un piccolo esame.
Alcuni enunciati erano comprensibili anche a noi bambini, e potevamo accettarli senza pensarci troppo. Per esempio, la prima domanda, con relativa risposta, era:
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CHI CI HA CREATO?
CI HA CREATO DIO.
Non so voi, ma a creare me deve essere stato uno spirito libero da canoni estetici, dotato di senso dell’umorismo, ma completamente privo di senso della simmetria e delle proporzioni. Infatti, mi creò bassa e alquanto storta.
Ma a sette anni ero fiera di essere una creatura di Dio. Cioè, credevo in un indefinito “prima” in cui non c’era nessuno, e che ad un certo punto Dio, forse un po’ annoiato dalla monotonia dell’universo, avesse deciso di crearci, facendoci diversi gli uni dagli altri: alti o bassi, biondi o bruni, gentili e sorridenti o incazzati e maneschi, a suo piacimento.
La domanda successiva era:
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CHI È DIO?
DIO È L'ESSERE PERFETTISSIMO, CREATORE E SIGNORE DEL CIELO E DELLA TERRA.
Quindi Dio era perfettissimo, superlativo assoluto di perfetto, che è già di per sé un aggettivo che non ammette confronti. Inoltre ci aveva creati, quindi aveva senso che fosse anche nostro Signore, e che avesse il massimo potere su di noi. Me lo immaginavo come il signorotto del castello medievale, che aveva potere di vita e di morte sui servi della gleba, come avevamo studiato in storia.
Seguiva una serie di domande a risposta metafisica, del tipo:
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DOV’È DIO?
DIO È IN CIELO, IN TERRA E IN OGNI LUOGO.
E qui la mia povera mente di bambina di seconda elementare iniziava ad avere difficoltà. Niente di ciò che conoscevo poteva stare in più luoghi contemporaneamente: i passeri e i piccioni potevano stare in cielo e in terra, ma non allo stesso tempo. Forse i coccodrilli potevano trovarsi in acqua e in terra, nel senso di avere la testa e le zampe sulla terraferma, ma la coda ancora in acqua. Ma di sicuro non potevano stare in cielo. Così rimuginavo a vuoto.
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CHE SIGNIFICA CHE DIO È “PERFETTISSIMO”?
“PERFETTISSIMO” SIGNIFICA CHE DIO È SENZA DIFETTO E SENZA LIMITI, OSSIA CHE EGLI È POTENZA, SAPIENZA E BONTÀ INFINITA.
A questo punto saltò fuori in tutta la sua virulenza il mio lato polemico, e osai protestare: bontà infinita? E le guerre allora? E il cane randagio cieco da un occhio che certi ragazzetti del quartiere prendevano a sassate? E la nostra compagna Mirella che era nata sfigurata dal labbro leporino?
Fui subito zittita dal prete, il quale, con la scusa che avevo interrotto la lezione senza aver prima alzato la mano, mi spedì fuori dall’aula.
Dopo questo episodio mi guardai bene dal porre altre domande, e quando non capivo me lo tenevo per me. A costo di prendere svarioni che sconfinavano nell’eresia, come capitò a proposito della domanda successiva:
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DIO È SEMPRE STATO?
DIO È SEMPRE STATO E SEMPRE SARÀ.
Vuoi perché non ero stata attenta alle spiegazioni del prete, vuoi per le mie difficoltà a immaginare un tempo infinito, e vuoi per la forte influenza che il dialetto ancora esercitava su di me, interpretai quel “sarà” come “chiuso”, perché è questo che significa “sarà” in piemontese.
Dunque, Dio è sempre stato chiuso. Punto. Che in fondo aveva anche senso: Dio è un tipo chiuso in se stesso, poco socievole e di poche parole, come confermavano le illustrazioni, dove Egli era sempre rappresentato come un vecchio severo, e a dirla tutta un po’ altezzoso.
Non ricordo come si svolse l’esame, ma probabilmente non mi fu chiesta spiegazione di questa particolare qualità divina. Così, fui promossa, e allegramente ammessa alla mia prima comunione con tale “ermetica” divinità.
Sto ancora aspettando che questa divinità si apra, e mi spieghi.
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Stefania Marello - ACC
Bambina interroga un coccodrillo sulla sua ubiquità
CAVE CANEM
Fin dall’antichità i cani sono stati utilizzati come animali da guardia. Ne è prova la famosa locuzione latina “cave canem” - che significa appunto attenti al cane - trovata negli scavi di Pompei all’ingresso delle abitazioni.
Nelle città moderne, invece, i cani se ne stanno in appartamento, e al massimo possono abbaiare quando sentono suonare il campanello che annuncia un visitatore. Alcuni non fanno nemmeno quello, anzi, scodinzolano a tutti, compresi eventuali truffatori. Il messaggio “cave canem” oggi è più utile fuori casa, a chi percorre strade, viali e marciapiedi, per segnalare un altro tipo di pericolo, non costituito dal cane in sé, ma dal suo principale prodotto: la cacca. L’attenzione deve essere massima e continua, guai a distrarsi: si rischia di calpestare il “prodotto lordo” che dicono porti fortuna, ma ancora non si è capito a chi.
Il regolamento comunale parla chiaro: ognuno è responsabile del proprio cane e di tutto ciò che lo riguarda, comprese le sue deiezioni. Se non c’è modo di risolvere il problema delle innumerevoli pisciatine sparse, almeno i prodotti solidi dovrebbero essere raccolti e poi gettati in sacchetti ben chiusi nei cestini dei rifiuti. Tuttavia, in assenza di controlli, ben pochi lo fanno.
La situazione non è migliore nei quartieri ricchi; anzi, lì ci sono più cani, e di razze costose. Ma la cacca di razza non è meno fastidiosa di quella bastarda, così come il proprietario altolocato non è meno bastardo di quello plebeo.
Il problema è particolarmente sentito a Canbenedetto sul Tonto, ridente (ma forse dovremmo dire ringhiante) cittadina marchigiana, dove quasi ogni famiglia possiede un cane. Il Sindaco ha bandito un concorso a premi tra gli abitanti: in palio c’è la fornitura annuale di crocchette per cani, destinata a chi presenta la migliore idea sul problema delle deiezioni.
Riportiamo alcune tra le proposte pervenute:
- Introdurre un marcatore radioattivo nel cibo per cani che renda le feci fosforescenti, quindi ben visibili anche di notte. Aiuterebbe sia i passanti a non calpestarle, sia i proprietari a raccoglierle tutte. Ma le associazioni animaliste, chissà perché, non sono favorevoli: sostengono che potrebbe diventare radioattivo anche il cane. Si attende il parere degli esperti dell’Istituto Madame Curie di Chernobyl, città (poco ridente) della Bielorussia.
- Far indossare il pannolone ai cani prima di uscire.
La soluzione non è piaciuta a nessuno: non è piaciuta ai cani, ovviamente, che si ribellano con vigore, né ai proprietari, in evidente difficoltà a mettere un pannolone a un cane… vigorosamente ribelle. Infine, non piace agli ambientalisti, per l’enorme quantitativo di plastica che finirebbe in discarica.
3. Al momento dell’impianto del microchip al cane (obbligatorio per l’iscrizione all’anagrafe canina), il veterinario potrebbe anche prelevare alcuni peli dell’animale da inviare all’archivio sanitario canino. Così si potrebbe confrontare, come insegna la genetica forense, il DNA prelevato dalle cacche abbandonate con quello dei peli degli animali schedati, e colpire il proprietario maleducato con una multa.
Se queste sono le migliori idee dei canbenedettesi, sulle altre è meglio stendere un velo - trattandosi di cani - peloso.
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Stefania Marello - ACC
CHIEDE ALL’INTELLIGENZA ARTIFICIALE UN TRATTATO SULL’INTELLIGENZA UMANA E LA MANDA IN CRASH
Quando il giovane cinquantaseienne, studente lievemente fuori corso iscritto al corso di laurea in psichiatria informatica presso il Politecnico-Polisportivo di Fanfaluca Canavese, davanti al computer dell’ateneo ha posto il quesito, non poteva immaginare un simile epilogo.
L’intento era di farsi aiutare dall’intelligenza artificiale a svolgere una ricerca in vista della futura tesi di laurea, prevista per giugno 2035, mediante l’utilizzo della ormai celebre ChatGIPIN, potente chatbot Torinese dotato di IA.
Il tema da trattare riguarderebbe la comparazione tra l’intelligenza umana e quella artificiale e, in particolare, la capacità di un computer di “scaricare” la colpa dei propri errori su altri calcolatori elettronici, prassi tipicamente antropica.
Il giovane studente, dopo aver inserito correttamente la richiesta, ha atteso l’elaborazione dei dati.
Dopo un’oretta di attesa, secondo alcuni testimoni, il server centrale ubicato in un bunker segreto a Brevigliasco, avrebbe iniziato a emettere insoliti rumori e fumi neri, andando presto in corto circuito e generando infine un principio di incendio.
Poiché la discussione della tesi è prevista fra una decina di anni, non si tratterebbe propriamente di una previsione, ma fra due lustri sarà probabilmente un trattato storico, considerati i rapidi cambiamenti del settore informatico. Ne 2035 non resterà che verificare a posteriori le “previsioni” datate 2024, esattamente come accade normalmente per l’economia, la politica e il calcio.
Sembra che l’intelligenza artificiale non sia ancora pronta per sostenere un confronto alla pari con quella naturale. L’IA, infatti, è in grado di dare risposte logiche in pochi minuti a quesiti complessi per indirizzare verso soluzioni opportune e proficue ma, a differenza dell’uomo, non è ancora in grado di decidere “a sentimento” compiendo scelte inopportune, contrro il buon senso o addirittura dannose, che tuttavia rendono felice chi le intraprende.
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Paul Rice - ACC
Il server mostra l’impotenza di calcolo durante l’elaborazione dati
BEATI I LUPI
Complice il moltiplicarsi dei centri commerciali, la diffusione delle vendite online, e la recessione economica, molti negozi hanno abbassato definitivamente le saracinesche: piccole rivendite alimentari, cartolerie, edicole. Al loro posto spuntano soprattutto ristoranti etnici, agenzie di viaggi e centri estetici. Come se i nostri pochi risparmi venissero spesi in abbuffate di sushi e kebab, oppure in manicure, pedicure, lampade abbronzanti, massaggi e depilazioni, e infine - perché no? - in mini-vacanze ai tropici in offerta “last minute”. Del resto, ha senso: come potresti andare in spiaggia pallido, con la cellulite, e i piedi deturpati dai calli? E soprattutto con una fitta peluria che ti ricopre le braccia e le gambe, e spunta dalle ascelle e dal costume? E se sei una signora, come puoi ostentare con disinvoltura i baffi, che hai provato a decolorare in casa, ma con risultati pessimi, perché ora assomigli al ritratto di Garibaldi?
Secondo la tassonomia (scienza che non si occupa dello studio dei tassi, ma che classifica tutte le specie viventi), noi discendenti dell’homo sapiens apparteniamo al gruppo dei primati, come le scimmie, e abbiamo una distribuzione irregolare e capricciosa della peluria, ma terribilmente persistente.
Potremmo rassegnarci, in fondo male non fa.
Ma gli homo sapiens non sono soltanto logica e raziocinio: sono in balia di influenze esterne, di un istinto sociale perverso che li obbliga a seguire il gregge anche nelle insensatezze. Una di queste è la moda, oggi ancora più pressante di un tempo grazie ai social e agli influencer.
Perciò le donne (ma anche molti uomini) sono costantemente in guerra contro un nemico insidioso e socialmente disapprovato: il pelo superfluo. I nostri peli, che spuntano qui e là, senza ottemperare ad alcuna necessità biologica, sono ben accetti solo se crescono sul cranio e sui bordi delle palpebre. Ciglia e capelli rappresentano il pelo amico. Le ciglia femminili vengono persino allungate artificialmente ed evidenziate cospargendole di “mascara”, una sostanza grassa nera e untuosa come il lubrificante per motori, che sbava di nero le guance di lei e il colletto della camicia di lui.
I capelli poi, non solo non si depilano, ma sono oggetto di cure continue. Basta dare uno sguardo al reparto dedicato all’igiene dei capelli in qualunque supermercato: una miriade di flaconi di ogni marca e colore. “Ci sono più shampoo sugli scaffali, Orazio, di quanti ne sogni la tua chioma” direbbe oggi Amleto.
Invece, tutto quello che osa spuntare sul resto del corpo è condannato ad essere dolorosamente estirpato con ogni mezzo a disposizione: rasoi, epilatori, pinzette, creme depilatorie, cerette, raggi laser. Torture praticate appunto nei centri estetici, perché le torture autoinflitte richiedono un coraggio che hanno solo i santi e i fachiri.
A differenza del proverbiale lupo che perde il pelo ma non il vizio, gli esseri umani mantengono i peli (qualcuno anche i vizi) fino alla fine. Con il passare degli anni si diradano i capelli, spariscono le ciglia, ma i peli no, al massimo cambiano posizione: per ogni pelo che perdiamo nelle zone basse, ne spuntano di nuovi dalle narici, dalle orecchie e dai sopraccigli. E sono più ispidi e ostinati che mai.
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Stefania Marello - ACC
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Gatto che ha perso il pelo, ma nulla si sa del vizio.
TRENTA GIORNI A NOVEMBRE...
Le grandi opere dei supermercati mese per mese
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Se vi recate a novembre, subito dopo i Santi, nel vostro supermercato restate per un momento disorientati: dov'è finito il banco frigo? E i surgelati, e le rassicuranti offerte di detersivi? Improvvisamente, come se fossero stati edificati nottetempo, vi trovate di fronte a due muri altissimi, costituiti da giocattoli di ogni tipo, costo e dimensione. Per raggiungere i reparti dove fate di solito i vostri acquisti dovete procedere in queste trincee claustrofobiche, tra macchinine, soldatini, dinosauri, giochi da tavolo, giochi elettronici, treni, camion, betoniere, mostri parlanti, bambole che piangono, ridono, dormono, telefonano e fanno pipì.
E non è finita: altri muri si aggiungono a dicembre: panettoni, torroni, cioccolatini, pandoro, cotechini, zamponi, cesti natalizi, alberi di natale, presepi, decorazioni, luci e palle. E vi fate due palle così nel procedere lungo cunicoli sempre più angusti e sempre più affollati.
Finalmente vien gennaio e, dopo l'Epifania, le trincee vengono smantellate. Si crea così un po' di spazio e ci si muove tra muretti più contenuti, che espongono prodotti dietetici, cibi biologici e vegani, tisane digestive, depuranti e dimagranti, il tutto all'insegna della sobrietà che segue le abbuffate delle feste.
A febbraio il carnevale impazza e l'edilizia commerciale si riattiva: con le confezioni di bugie e altri dolcetti carnevaleschi vengono edificati perfetti muri a secco, tra siepi di costumi, maschere, e collinette di coriandoli in confezione famiglia, comunità, esercito.
Ma le giornate si allungano, come la quaresima, e a marzo le corsie si riempiono di attrezzature da giardinaggio, barbecue, carbonella, tavolini da picnic, sacchi di terriccio, vasi e sottovasi, fertilizzanti e concimi.
Ad aprile, quando sarebbe dolce dormire, si è costretti a passare tra muraglie cinesi di uova di Pasqua, colombe, campane e agnelli di cioccolato, torte pasqualine. Spesso si perde l'orientamento e bisogna affidarsi al navigatore del cellulare per uscirne vivi.
Maggio è, come gennaio, un mese di relativa quiete. Finalmente si può fare la spesa e riempire il carrello di ciò che effettivamente serve: latte, pane, pasta, riso, sughi e detersivi.
A giugno e a luglio, tra noi e le nostre fantasie di vacanze tranquille, si frappongono barriere di materassini, gommoni, palloni, tavole da surf, carriole e vari giochi da spiaggia. Passando accanto a mostruosi bazuka-giocattolo che sparano getti d'acqua a 120 atmosfere, ricordiamo con nostalgia le nostre modeste pistole ad acqua, le palette, le formine e le immancabili biglie, unici giochi concessi quando, tanti anni fa, andavamo con mamma e papà sulla spiaggia di Varigotti.
Agosto e settembre sono i mesi delle offerte scuola: anche chi non ha figli o nipoti in età scolare è costretto a percorrere un labirinto che si snoda tra pile di quaderni e diari, confezioni a perdita d'occhio di penne, matite, pennarelli, colle, righelli, squadre, zaini e variopinti grembiulini. Se hai dimenticato a casa lo smartphone ti conviene procurarti del filo interdentale da usare alla maniera di Arianna.
Infine c'è ottobre. Poiché è un mese scarsamente interessante dal punto di vista commerciale, i supermercati hanno inventato Halloween. E allora zucche d'ogni genere, scheletri, dolcetti e scherzetti, costumi da zombi, penose maschere che vorrebbero farvi paura, e purtroppo ci riescono, se fate l'errore di andare a leggere il prezzo.
Infine ritorna novembre, quello dei trenta giorni, e la filastrocca ricomincia.
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Nonna Abeffarda – ACC
Trincea pasquale
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Muro in Legolaterizio
COMPLIMENTI STRADALI
Da qualche anno in Giappone esiste una curiosa figura professionale: il lodatore. Lo si può incontrare in strada, ai crocicchi, davanti alle stazioni, ovunque ci sia un piccolo spazio, sufficiente ad appoggiare il suo fagotto e il contenitore per la raccolta delle offerte. Lì si ferma, si appende al collo un cartone che recita “sugoku homemasu”, ovvero “Lodo moltissimo”, e resta in attesa del primo cliente. Ciò che offre, in cambio di un obolo in denaro, è una o più frasi di lode e di approvazione.
Sovente si tratta di disoccupati, poveri, senzatetto, che ricordano un po’ San Francesco d’Assisi, che camminava stracciato e scalzo lodando Dio e tutte le sue creature. Questi lodano solo le creature che lo richiedono espressamente.
La strana iniziativa pare abbia avuto successo, e lo studio della psicologia e della sociologia nipponica ne ha rivelato i motivi.
Nonostante ci possa imbarazzare, e per quanto ci si sforzi di negare per non apparire presuntuosi, essere lodati ci commuove e ci gratifica intimamente: siamo soliti ricevere complimenti soprattutto nell’infanzia, mentre in età adulta capita di rado. Ma nella cultura orientale manca questa fase infantile delle lodi: fin da bambini, i giapponesi sono gravati dalle grandi aspettative dei genitori e degli insegnanti, sempre severi e parchi di lodi, ma prodighi di rimproveri se i piccoli non si adeguano al modello richiesto. Perciò, una volta adulti, sono ancora alla ricerca di approvazione, hanno sviluppato poca autostima, e sono perciò più sensibili a qualunque tipo di complimento e lode.
Ma come è possibile - diciamo noi che di storia giapponese conosciamo ben poco, ma in compenso abbiamo visto tanti film - e i samurai? E i piloti kamikaze della seconda guerra mondiale? Non erano determinati e sicuri di sé?
Determinati certamente, ma a morire. E con dignità, per adeguarsi al modello imposto.
Per questo la figura del lodatore seriale ha avuto così successo: i suoi complimenti commuovono, inteneriscono, e soprattutto gratificano le persone che sono state poco lodate nell’infanzia.
Inevitabile il confronto con il nostro Belpaese, dove una figura di questo genere non avrebbe lo stesso successo. Nell’educazione dei figli facciamo anche troppi “complimenti”: fin dalla culla ricevono ammirazione e lodi. Vengono sgridati raramente, anche quando lo meriterebbero. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: bimbiminkia fino all’età adulta. Inoltre, qui da noi è imprescindibile la presenza quotidiana delle nonne, e si sa che esse sono sempre pronte a elargire complimenti. Non solo non si fanno pagare, ma addirittura pagano il nipote (con mancette e cucina saporita) perché venga a pranzo e cena, a farsi nutrire e complimentare.
Una via di mezzo tra il rigore giapponese e l’indulgenza italiana sarebbe auspicabile.
Tuttavia, se qualche disoccupato nostrano avesse la fantasia e il senso dell’impresa tipicamente italici, e volesse cimentarsi in questa nuova attività, dovrebbe seguire alcuni avvertimenti.
Per esempio, da noi potrebbe essere rischioso fare un complimento in strada alle donne: invece di un obolo potreste ricevere un ceffone, o addirittura una denuncia.
Ma anche se fossero le donne stesse a richiedere il complimento conviene farsi firmare un apposito modulo, nel quale dichiarano di essere “consenzienti”. A firma ottenuta, si deve ricordare che i complimenti più graditi alle donne sono questi:
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- Come sei dimagrita dall’ultima volta (non importa se l’ultima volta era ieri).
- Dimostri vent’anni di meno (generico, ma più sicuro che cercare di indovinare l’età e poi togliere una decina d’anni: potreste sbagliare clamorosamente e offenderle irrimediabilmente).
- Nel caso abbia figli al seguito, lodare i bambini per la loro bellezza ed educazione, sempre, anche se il più piccolo ha sputato nel contenitore delle offerte, e la grande ti ha tirato un calcio nello stinco.
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Con gli uomini è tutto più semplice: il maschio italiano, di qualsiasi età e ceto sociale, non solo gradisce i complimenti spudoratamente falsi, ma ci crede, e non ha mai dubbi sull’averli meritati. Gradisce anche le lodi che non si riferiscono a lui direttamente, ma alle sue scelte, specialmente in materia di automobili, opinioni sportive, e donne che lo accompagnano.
Gli uomini non sono meno vanitosi delle signore, e non disdegnano i complimenti sull’aspetto fisico. Attenzione però a non farsi prendere la mano: per esempio, mai lodare la folta chioma di un uomo con il cappello, perché potrebbe essere calvo, come l’ispettore Rock della vecchia pubblicità della brillantina.
Insomma, con il tempo e l’esperienza potreste intuire immediatamente il punto debole di chi cerca approvazione, e renderlo punto di forza con una lode ben assestata.
È un po’ come improvvisarsi psicoterapeuta di strada, dove a sua volta chiunque può improvvisarsi paziente, con minima spesa.
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Stefania Marello
Lodatore giapponese
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Lodatore italiano
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Soluzione americana: lodarsi da sé
FARE SAN MARTINO NON È PIÙ DI MODA.
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FARE SAN MARTINO NON È PIÙ DI MODA.
OGGI FACCIAMO SAN SILVESTRO.
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Un trasloco è sempre un evento faticoso e stressante, e tutti vorremmo evitarlo. Evitare l'impacchettamento selvaggio delle suppellettili, le muraglie di scatoloni che rendono difficile l'accesso al bagno, le ditte traslochi che traslocano metà dello stipendio dal tuo conto al loro, e infine i nerboruti addetti, di nazionalità imprecisata, che sorridono e annuiscono alle tue raccomandazioni, ma subito dopo lanciano sul camion le scatole contenenti i bicchieri di cristallo. Ma talvolta tutto questo è necessario, e allora si deve almeno scegliere il momento migliore.
"Fare San Martino" era espressione comune nei territori agricoli della Pianura Padana, per dire che si lasciavano le terre e la casa e ci si trasferiva altrove. L'usanza di cambiare casa proprio l'undici novembre, giorno che sul calendario è dedicato a san Martino, era legata all'agricoltura, che in quel periodo dell'anno esauriva il suo ciclo. Nelle antiche società rurali, infatti, non avrebbe avuto senso andarsene prima di aver effettuato i raccolti, lasciando il grano o il granturco o il riso nei campi, a disposizione dei nuovi venuti. Era meglio traslocare a novembre, prima delle nuove semine. Lo stress non doveva essere inferiore al nostro, se immaginiamo la fatica di caricare i mobili e gli attrezzi sul carro, legare gli animali, acchiappare i bambini riottosi (e mica ne avevano solo uno o due...), sopportare i malumori dei vecchi più brontoloni del solito, tra l'abbaiare incessante dei cani e la nebbia fredda e umida che si infilava fin sotto il mantello (alla faccia dell'estate di San Martino).
In tempi più recenti, con l'industrializzazione e la società dei consumi, il periodo migliore per traslocare era diventato il mese di agosto: si traslocava sfruttando le ferie, e favorendo i figli che non dovevano così cambiare scuola ad anno scolastico in corso. Che poi, ai figli, la scuola non interessava un granché, purché non si andasse troppo lontano dagli amici di merende o dalla squinzia di cui erano innamorati.
L'epoca industriale ha lasciato spazio all'era burocratica, dove tutto si chiude a fine anno: l'Irpef, la contabilità delle imprese e ogni altro adempimento fiscale, comprese le varie tasse comunali sulla casa, la raccolta rifiuti e il canone RAI, che viene incluso nella bolletta dell'energia elettrica, anche nel caso in cui la TV si guardi utilizzando un generatore di corrente elettrica. Perciò diventa più pratico cambiare casa a fine anno. E il santo dei traslochi diventa San Silvestro.
Qualche nostalgico obietterà che San Silvestro, che fu un austero papa ai tempi dell'imperatore Costantino, è meno popolare di San Martino. Conosciamo San Martino sin dalle elementari come elargitore di mantelli ai mendicanti e fondatore di un convento dove faceva il frate campanaro (fra Martino campanaro dormi-tu dormi-tu...).
Va detto però che San Silvestro ha dato il nome ad un famoso personaggio dei cartoni animati, ostinato quanto sfigato cacciatore di uccellini in gabbia, e che non è un frate "dormi-tu dormi-tu", ma è il santo delle veglie e del casino protratto fino all'alba. Perciò nessuno avrà obiezioni a dire "Faccio San Silvestro" per dire che trasloca e che, in vece del cenone di Capodanno, apre gli scatoloni e fa l'inventario dei bicchieri rotti, dei calzini spaiati e dei flaconi di shampoo che si sono aperti tra gli asciugamani...
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D.ssa Stephanié Hop-là imbeccated by Paul Rice - ACC
Con questi mezzi il "San Silvestro" costa più in benzina che in tasse di fine anno
SCEMO CHI LEGGE?
Le scritte sui muri sono un elemento ineluttabile nelle nostre città, ma la fantasia dei graffitari si è perfezionata nel tempo. Oggi, invece di asserzioni concise come “Dio ti vede” o “Ti amo Marisa”, si possono leggere considerazioni più articolate e profonde, veri aforismi itineranti, o “street thougt”, come li chiamerebbe qualche anglofilo.
Questa evoluzione è stata favorita dalle bombolette spray, più economiche e soprattutto più pratiche di altri sistemi di pittura.
Si sono evolute persino le oscenità onnipresenti sulle pareti dei bagni pubblici: oltre alle intramontabili “Viva la figa”, “Mona Mour” e “Mela dai” (con tanto di disegnino, ma non della mela), ci si imbatte in messaggi più articolati, del tipo “Tuo marito ti trascura a letto? Chiamami”, seguito dal numero telefonico. Talvolta l’oscenità sta soprattutto nel fatto che l’autore ha scritto all’etto anziché a letto.
Una scritta ormai desueta è “Scemo chi legge”, molto in voga in passato, ma che oggi ci sembra infantile e un po’ idiota. In realtà è dotata di una sua logica spiazzante che strappa comunque un sorriso, come certi scherzi telefonici d’altri tempi: “Scusi signora, c’è l’acqua a casa sua?” e alla risposta affermativa si replicava “Allora vada a farsi il bidé”.
Ma la parola scemo, mi sono chiesta, da dove ha origine? Da scemare, verbo che deriva – chi l’avrebbe mai detto - dal latino, e significa dimezzare, e per estensione diminuire.
La luce scema durante il crepuscolo, il brontolio del tuono scema alla fine del temporale, e una persona scema non è “intera”, ha intelligenza e giudizio ridotti.
Insomma, si tratta di un verbo interessante, che si presta a simpatiche elaborazioni. Per esempio, se vuoi prenderti gioco dell’amico saputello, che sfoggia la sua conoscenza dei verbi e corregge tutti ad ogni congiuntivo, potresti chiedergli di coniugare il presente indicativo di scemare. Se la tua piccola vendetta funziona lui dirà con convinzione “io scemo”, tra le risatine dei presenti.
Alla luce del significato di scemare, la locuzione affermativa “Scemo chi legge” ha bisogno di essere aggiornata: in questo tempo digitale in cui si legge sempre meno, avendo sostituito libri e giornali con tablet, portatili e smartphone, bisognerebbe scrivere “Scemo chi NON legge”, per avvisare che stiamo correndo il rischio di… scemare. Se si legge poco, o nulla, scema il nostro linguaggio, il nostro senso critico, la nostra fantasia. Scemano le capacità di immaginare, di sognare, di sviluppare l’empatia e di comunicare emotivamente.
Al vederci con la testa china sullo smartphone, sembriamo impegnati costantemente nella lettura e nella scrittura, ma è un’illusione: siamo solo ipnotizzati, imprigionati in una realtà virtuale che ci domina, e che condiziona ogni nostra scelta.
Tuttavia, il numero dei lettori scema costantemente, e probabilmente tende a zero.
I pochi superstiti, considerati i dinosauri del Periodo Cartaceo, sono destinati all’estinzione. Perciò si dovrebbe scrivere “SCEMO CHI NON LEGGE” a caratteri cubitali, sui muri delle scuole, delle biblioteche, e in ogni luogo pubblico.
Per quanto sia inevitabile utilizzare i dispositivi che la tecnologia ci ha messo a disposizione, bisogna saper smettere ogni tanto, per non diventare dipendenti. Almeno una volta al giorno mettiamo via l’ordigno ipnotico, e leggiamo un libro: non si scarica la batteria, non c’è il disturbo ossessivo della pubblicità, c’è sempre campo, non c’è bisogno del credito, e se lo si smarrisce non è un gran danno.
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Stefania Marello – ACC
Giovane graffitaro che vuole esprimere l’amore della sua vita
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Ma abbiamo frequentato scuole diverse…
DOPO GLI ELETTRODOMESTICI, TORNANO GLI ELETTROSELVATICI
L’uomo, anzi, la donna, ha impiegato decenni per addomesticare gli apparecchi elettrici alimentati a corrente elettrica.
Questi apparati sono molto utili per le faccende domestiche e non solo: le lavatrici e le lavastoviglie fanno risparmiare tempo e fatica, gli asciugacapelli e i forni a microonde sono ormai oggetti di uso quotidiano, ma il frigorifero è assolutamente indispensabile. Tanto per citarne alcuni tra i più comuni.
Senza questi simpatici aiutanti lo stress e l’impegno fisico per le casalinghe sarebbe, con i ritmi di oggi, assolutamente insostenibile.
Ultimamente si sta assistendo a una regressione degli elettrodomestici, soprattutto quelli a tecnologia avanzata, poiché tendono a ribellarsi di fronte ai comandi impartiti dagli umani.
Essi tendono ad agire autonomamente a tal punto da diventare veri e propri elettroselvatici. E non c’è tasto “OFF” che riesca a porvi rimedio.
Secondo gli esperti la ragione di questi curiosi comportamenti va ricercata nelle famiglie moderne, dove anche l’uomo si occupa di faccende di casa. Pare infatti che i mariti (o i single) non abbiano abbastanza polso da tenere testa agli elettrodomestici, che finiscono inevitabilmente per diventare scostanti e poco collaborativi, fino a inselvatichirsi.
Secondo una corrente di pensiero alternata, sarebbe consigliabile acquistare direttamente gli elettroselvatici e provvedere personalmnete a fornire loro una corretta educazione in base alle proprie necessità.
Questi apparecchi selvaggi costano meno degli elettrodomestici, ma occorre avere pazienza e metodo perché, se lasciati liberi, vanno in giro per casa comportandosi incivilmente.
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Paul Rice - ACC
Aspirapolvere addomesticato: la massima aspirazione per un bidone.
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Grazie agli incassi è più semplice addomesticare e limitare i comportamenti bizzarri degli apparati elettrici da cucina.
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Piastra a induzione vetroceramica allo stato brado.
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Elettroselvatico impazzito, scappa di casa e divora l’erba del prato.
PIZZA PRIDE: IL DIRITTO DI METTERE L’ANANAS SULLA PIZZA
Si è svolto ieri a Frottola Valtrompia, nel bresciano, il primo Pizza Pride.
Si tratta di una manifestazione unica nel suo genere, organizzata dall’Associazione Italiana Pizzaioli Fruttariani per sensibilizzare la popolazione su un argomento delicato e controverso: l’ananas sulle pizze.
Da anni è stato sdoganato l’uso di prodotti alternativi come la Nutella e le patatine fritte sul prodotto italiano più famoso nel mondo, sono accettati persino i tortellini, ma l’ananas è tutt’ora considerato un vero abominio, al limite del disgustoso.
Qualche pizzaiolo ha tentato di inserire a tradimento ingredienti poco convenzionali aggiungendo nel menù pizzeria la voce “fantasia del pizzaiolo”, ma è stato prontamente ripreso e apostrofato quando il cliente affamato si è ritrovato il delizioso frutto tropicale sulla salsa di pomodoro.
Da qui la necessità di organizzare un evento di richiamo, con risonanza a livello nazionale, per sensibilizzare su questa pratica, poiché i tempi sono maturi, e gli ananas anche, allo scopo di accettare e fare entrare di diritto questi e altri frutti nel forno a legna.
La manifestazione ha visto la partecipazione di sessantamila persone secondo la questura, dodici secondo la signora Pina che abita sulla via dove si è svolto il corteo.
Alla sfilata ha partecipato anche un carro allegorico a emissioni zero. Gli ambientalisti hanno tuttavia protestato per l’uso dei forni a legna altamente inquinanti, auspicando la conversione in forni elettrici a impatto ambientale ridotto.
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Paul Rice – ACC
Come cambia la quattro stagioni: non solo ananas, ma anche fragole e altri frutti di… stagione.
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Tutti pronti a salire sul carro del mangiatore.
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E dopo la sfilata tutti al luna park tematico.
BINARI E MONOROTAIE
C'erano una volta gli uomini e le donne.
Gli uni e le altre potevano essere eterosessuali o omosessuali, cioè potevano preferire accoppiarsi con persone di sesso opposto (a quei tempi la maggioranza) oppure uguale al loro (sempre a quei tempi una minoranza timida e discreta).
C’erano poi uomini che avrebbero voluto essere donne e viceversa. Questi talvolta assumevano abbigliamenti e comportamenti del sesso desiderato, e li chiamavamo giocosamente "travestiti", ma restavano comunque (almeno per l'anagrafe) uomini e donne.
Poi sono arrivate le cure ormonali e la chirurgia plastica.
Adesso c'è un coacervo di definizioni per identificare tutte le possibili sfumature di identità sessuale. In fisica si direbbe che siamo passati dal discreto (uomo - donna) al continuo (monogender, bigender, agender, genderfluid, transgender…, il tutto sussunto dalla formula LGBTQ +n² × ¾π.
Recentemente è stato introdotto il termine “binario”, che indicherebbe ciò che un tempo era la normalità.
Secondo Wikipedia le identità non binarie sono quelle identità di genere non strettamente e completamente maschili o femminili. Le identità non binarie talvolta possono rientrare nel termine ombrello “transgender”, poiché le persone non binarie si identificano tipicamente con un genere diverso dal genere assegnato, ma possono anche essere soltanto non conformi a tale genere.
Le persone non binarie possono identificarsi come appartenenti a più di un genere (bigenere), a nessun genere (agenere), o oscillanti tra generi (genderfluid).
L'identità di genere è distinta e indipendente dall'orientamento sessuale.
Tutto chiaro, no? Chi deve compilare un modulo con i dati anagrafici alla voce Sesso potrebbe starci a pensare mezza giornata.
L’esimio Professor Italo Miglio dell’Accademia dei Cinque Cereali ha espresso il seguente dubbio: una persona che si chiama Italo, come il famoso treno, potrebbe dichiararsi non binaria? E in tal caso sarebbe una monorotaia?
A questo punto, il suo prestigioso collega Paul Rice si è posto una ulteriore domanda: “Ma monorotaia è colui (o colei) che fa sesso da solo?”
La dottoressa Stephanie Hop-là, parafrasando Roger Murtaugh in Arma Letale, avrebbe esclamato: "Sono troppo vecchia per queste stronzate".
La spinosa questione è tuttora aperta, ma nonostante questo c'è ancora chi si preoccupa del sessismo nella grammatica italiana.
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Dott.ssa Stephanie Hop-là & Freddy Marchiori - ACC
Bandiera “non binaria”
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Bandiera “monorotaia”
SVIOLINATE ESTIVE
Oltre ai tormentoni fissi (riscaldamento del mare, liquefazione dei ghiacciai, anticicloni africani ecc.) l’estate ci regala ogni anno tormentoni saltuari e transitori. Ricordiamo l’estate scorsa l’allarme vaiolo delle scimmie, qualche estate fa la terribile cimice asiatica, e prima ancora i nidi di calabroni fin sui lampadari. Risalendo più indietro nel tempo ci fu la mucillagine prodotta dalle alghe, che obbligò gli operatori turistici della Riviera a dotarsi di piscine. Se ne parlò come di una sciagura per un paio di stagioni balneari, poi tutto tacque.
Quest’ultima è stata l’estate del Loxosceles rufescens, nome scientifico di un ragnetto dall’apparenza insignificante, detto anche ragno violino.
Ma dov’era finora questa bestia pericolosa dal veleno mortale? Se ne stava nascosta nell’ombra come la sinistra italiana? Solo gli entomologi ne conoscevano l’esistenza, prima che salisse all’onore di cronaca per la sua “pericolosità”.
In realtà si tratta di un ragnetto simile a tanti altri che vivono alle nostre latitudini e frequentano le nostre case e cantine. A dispetto di come è soprannominato è del tutto silenzioso: non suona il violino né alcun altro strumento; in compenso le sviolinate interminabili le hanno fatte i media, raccontandoci di persone finite al pronto soccorso o addirittura morte in seguito ad un morso di questo ragno. L’ultima notizia è stata l’allucinante storia di un giovane al quale sarebbe stato amputato un braccio. Quindi, ci raccomandano massima attenzione se veniamo morsi: disinfettare il morso, misurarsi la temperatura, controllare i linfonodi, e al minimo dubbio recarsi al più vicino ospedale.
Piuttosto che andare al pronto soccorso, e restarci per ore sdraiata su una scomodissima barella, con la flebo e il pannolone, preferirei morire a casa mia, con il conforto della mia famiglia, o in mancanza di essa persino di un prete (il che la dice lunga, conoscendo il mio ateismo fondamentalista). Ma soprattutto, come potrei sapere che il ragno che mi ha morso è proprio quello col violino? È facile, ce lo hanno spiegato a ripetizione i giornali, i notiziari e il web: prima di tutto ha sei occhi, e non otto come tutti gli altri ragni. Non so se qualcuno di voi ha mai guardato un ragno dritto negli occhi, io non ci sono mai riuscita. Sono piuttosto piccoli e corrono così veloci che vedi solo il turbinare delle loro lunghe zampe. Però, ci dicono, ha un altro carattere identificativo: una macchia scura a forma di violino nella parte superiore del torace. Ah, ecco: non si chiama così perché a scuola era un secchione… Comunque, tenendo conto che il ragno in questione ha un corpo lungo dai sei ai nove millimetri, e che il suo torace è all’incirca tre-quattro millimetri, quanto potrà mai misurare la macchia? E non credo che, dopo avermi morso, il ragno resterebbe fermo ad aspettare che io inforchi gli occhiali da lettura per osservarlo da vicino. Dirò di più: questo violino non riesco a vederlo nemmeno in foto, nemmeno ingrandendo l’immagine sul cellulare fino a quando diventa tutta sgranata.
Perciò, sono giunta a una conclusione: dopo aver trascorso una vita discretamente lunga ignorando l’esistenza di questo mostro, credo che non inizierò adesso a preoccuparmi. I ragni mi fanno un po' impressione - come a tutti, credo - e trovarne uno sul cuscino non mi farebbe certo piacere, ma non ho mai sviluppato una fobia. Non voglio iniziare ora, con un ragnetto da niente quanto a dimensioni, e poco propenso ad avvicinarsi agli umani. So che è dotato di veleno, come tutti i suoi simili, ma in genere lo usa per uccidere gli insetti che cattura, per poi mangiarseli in santa pace. La mia vita e la sua scorrono su piani completamente diversi, che normalmente non si incrociano. Ma se anche un giorno dovessi incontrarne uno, spero che non decida di mordermi, ma che se ne vada tranquillo per gli affari suoi, lasciandomi libera di occuparmi dei miei.
So che l’allarme nazionale è il tappabuchi dei notiziari, in periodi, come l’estate appunto, in cui la politica va in ferie, la gente è più distratta del solito e c’è penuria di notizie. Per avere attenzione, vendere i giornali, aumentare l’audience e ipnotizzarci con la pubblicità, il sistema più facile è tenere alto il livello di ansia collettiva.
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Stefania Marello - ACC
POCHI MEDICI: LE LAUREE SI POTRANNO EREDITARE
La sanità pubblica è allo sbando, i medici scarseggiano e, come se non bastasse, le facoltà di medicina continuano a mantenere il numero chiuso per le iscrizioni.
In molti ospedali, soprattutto quelli di piccole e medie dimensioni, alcuni reparti di importanza vitale sono costretti a chiudere perché i medici si trasferiscono laddove vi sono condizioni lavorative migliori, e i pochi che rimangono non sono sufficienti a garantire la copertura del servizio.
L’accademia dei Cinque Cereali, in collaborazione con l’Università di Pensologia di Torino, ha studiato il problema e prontamente trovato la soluzione.
Si tratterebbe di rendere ereditarie le lauree in medicina, in modo tale da sopperire alla situazione di sottorganico in cui versa la pubblica sanità.
L’idea non è di ereditare solo in caso di morte del medico, ma anche nel caso di pensionamento, per dare continuità alla professione.
Se un medico avesse più figli, uno potrebbe acquisire la laurea come medico di base, e gli altri le specializzazioni o i corsi formativi seguiti durante la carriera del genitore.
Grazie a questo stratagemma, in pochi anni sarebbe garantita la copertura dei medici in ogni specialità e assicurare un futuro al servizio sanitario nazionale.
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Paul Rice – ACC
Un meccanico, figlio di medico, non rinuncia alla sua professione e visita un paziente tra un cambio olio e una revisione impianto freni.
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Impiegata del settore metalmeccanico, figlia di un nefrologo, visita un paziente nell’officina in cui lavora anche come contabile. La sua deformazione professionale la aiuterà a contare i calcoli renali.
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Quando l’artista è figlio di un ortopedico, l’atelier può essere trasformato in un laboratorio per realizzazione protesi.
DOPO I BALOCCHI, I PROFUMI
Tra le ultime novità in fatto di moda scopro che Dolce & Gabbana ha realizzato Fefè, il primo profumo per cani.
Già il nome incuriosisce: come l’avranno scelto? Ci sono varie teorie in proposito, la più accreditata è che Fefè sia il nome del cane di uno dei due scoppiati (nel senso che, a detta del gossip, non stanno più in coppia). In onore a Gabbana io l’avrei chiamato Gabbo, che significa burla, scherzo. Perché un profumo per cani sembra proprio questo: una burla.
Il messaggio pubblicitario, proprio come quelli dei profumi destinati agli umani, ne esalta “l’armoniosa combinazione di note olfattive, date dalla presenza di sentori di ylang-ylang, uniti al tocco fresco del muschio e ai tratti legnosi del sandalo”. È chiaro che non si tratta dei muschi e dei sandali che i quattrozampe amano annusare bazzicando sui pavimenti, sui marciapiedi e nelle aiuole. Sono fragranze esotiche sintetizzate nei laboratori, e non credo che i cani possano trovarle interessanti.
Il prodotto - che ha persino ottenuto l’approvazione di etologi e veterinari - è confezionato in una bottiglietta da 100 ml, in vetro color verde smeraldo, decorato con una preziosa zampa canina placcata in oro 24 carati. Capisco l’utilità del simbolo identificativo per evitare confusioni in famiglia, ma non credo che l’amato Fido, per quanto intelligente e raffinato, possa apprezzare l’oro e i suoi carati.
Il tutto viene venduto al modico prezzo di 99 €uro. Non 100 €uro, si badi bene, poiché anche Dolce & Gabbana conosce lo stratagemma usato dai discount per infinocchiare i clienti alla ricerca della spesa intelligente.
Fortunatamente il prodotto non è alla portata di tutti: ci saranno ancora in circolazione cani felici che potranno indulgere in una delle poche soddisfazioni rimaste nella loro vita sempre più umanizzata: fiutarsi, riconoscersi e scambiarsi utili informazioni annusandosi reciprocamente il sedere.
Che il cane puzzi è un dato di fatto: ogni specie animale ha il proprio odore; anche noi abbiamo il nostro, e non è sempre così gradevole. Le puzze fanno parte dei processi digestivi, ormonali e d’altro genere che trasformano continuamente la materia vivente di cui siamo fatti, che purtroppo non è solo bellezza, intelligenza e sogni. Per questo le civiltà umane hanno inventato lavacri, terme, stanze da bagno con doccia e bidè, saponi aromatici, deodoranti e ammorbidenti per profumare ciò che è già perfettamente pulito. Tutto questo ci ha procurato problemi di salute, e soprattutto ha contribuito ad ammorbare l’ambiente. Ora che finalmente ne siamo consapevoli qualcuno ha deciso di profumare i cani: non è follia? Non bastava il cappottino, la bandana e il collare firmato, non bastava il gelato per cani e gli innumerevoli balocchi per dimostrare al mondo quanto il nostro amico peloso sia importante per noi?
So bene quanto si possa amare un cane. Da bambina li adoravo, e ne avrei voluto immensamente uno tutto mio.
Me lo immaginavo un incrocio tra Lassie e Rintintin, un cane speciale che mi amava, mi capiva, e mi proteggeva dai bulletti della scuola. Fantasticavo di vivere avventure incredibili con un cane e un cavallo immaginari.
Il rifiuto alle mie insistenti richieste di avere, se non il cavallo, almeno il cane era motivato dal Regolamento Condominiale. Era questo un lungo elenco di divieti, esposto al piano terra accanto all’ascensore. Non si faceva cenno ai cavalli, ma in compenso si vietavano, tra altre innumerevoli cose, gli animali domestici, e la presenza dei bambini nel curatissimo cortile condominiale. A quel sacro spazio solo la portinaia aveva accesso, per spazzare le foglie e innaffiare le ortensie. Il Regolamento tollerava i bambini in condominio, ma solo se rinchiusi nell’appartamento, fermi e possibilmente zitti.
Crescendo, non tanto in centimetri quanto in anni, ho rinunciato al mio infantile desiderio. Oggi mi rendo conto di riuscire a malapena a badare a me stessa, e più che della "pet therapy", della quale si parla tanto, talvolta a sproposito, avrei necessità di altre “therapy”, che non sempre il sistema sanitario è in grado di garantire. Ma se anche avessi un cagnolino non penso che lo cospargerei di profumo.
Ogni qualvolta cammino per le strade del quartiere praticando lo slalom tra le deiezioni canine, penso che ogni proprietario di cane, invece di acquistare Fefè, dovrebbe raccogliere pupù. Perché la pupù non cambia la sua natura (né il suo odore) neppure cospargendo la bestiola con litri di Fefè.
Molti già lo fanno, ma se lo facessero tutti le strade della città sarebbero, se non profumate di muschio e sandalo, almeno un po’ più pulite.
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Stefania Marello - ACC
(Vignetta liberamente copia/incollata dal web)
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Cane da caccia in confusione olfattiva
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Cane con essenza di “Cagot de Paris”
Gli scritti che contengono riferimenti a persone realmente esistenti hanno il solo scopo (si spera) di far sorridere e sono frutto del vaneggiare degli autori. Se tuttavia qualcuno non gradisse un articolo o una sua parte può chiederne la rimozione all’indirizzo di cui sopra, motivando l’istanza.
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